sabato 30 luglio 2011

Non è il trillo del telefono, ma un campanello d'allarme.

Iniziò una nuova settimana. Ma quella sensazione di paura, non mi aveva abbandonata, una volta lasciata Piacenza. Me l'ero portata con me.
Nel cuore della notte a cavallo di due giorni a circa metà settimana, il trillo del telefono squarciò il silenzio di casa mia. Balzai dal letto, senza rendermi conto, in quella frazione di secondo, se potesse trattarsi della sveglia, o del telefono.
Questa seconda ipotesi, mi sembrava impossibile. Nella mia famiglia, non si usava telefonare dopo le 22.00, se non per qualche accadimento tragico.
E fu proprio quello il pensiero.
Risposi con un " pronto" quasi afono, perchè l'agitazione non permetteva alla mia voce di uscire liberamente.
Dall'altro capo del filo, la voce roca e impastata di Juri.
Fui presa dal panico. Mia mamma, spaventata e travolta dagli stessi miei pensieri, era in piedi, sulla porta della sua camera da letto, con lo sguardo fisso sul mio, in attesa di avere notizie su chi vi fosse al telefono, aspettando probabilmente la cattiva notizia che credeve stessi per darle.
Cercai di essere disinvolta, ma non credo sia il termine giusto. Sorrisi a mia mamma, con il sorriso più cretino che abbia mai fatto, dicendole semplicemente " No mamma, non è niente , è Juri.." . Come fosse la cosa più normale di questo mondo, che Juri mi telefonasse ( Non l'aveva mai fatto) e soprattutto che lo facesse alle 2 di mattina.
Mia madre stette ancora qualche secondo nella stessa posizione, poi tornò a letto. Tirai un sospiro di sollievo. Non avrei retto il suo sguardo ancora per molto.
" Cosa c'è Juri, cosa è successo?" bisbigliai. Lui iniziò a ridere, e contemporaneamente a ringhiare come un cane feroce. " So che ti vedi con qualcuno, ma io ti ammazzo.. Ammazzo te e tutta la tua famiglia. O mi fai uscire di qui, o vieni tu e rimani in gabbia con me, fino a quando ho scontato la pena. Se non lo fai, ti ammazzo. Giuro. Hai capito ? Sono stato chiaro? Ti voglio qui puttana. Credi sia scemo? Domani prendi le tue quattro cose e mi raggiungi, sennò ti vengo a prendere io. Non farmi arrivare li, non ti conviene.."

Il sapore della paura.

Juri fece capolino nel salotto, svegliato dal profumo del caffè. Si buttò svogliato sul divanetto e senza neppure rivolgerci un saluto, commentò un qualcosa sul programma che stava seguendo Nino. Ingurgitò una tazzina di caffè, poi alzandosi, venne verso di me. Mi prese per un braccio e mi portò nella camera attigua, per il solito "protocollo".

Ma c'era qualcosa che lo turbava quel giorno. Non era solo l'alcool a renderlo irrequietò. Iniziò ad accusarmi di avere una vita normale, mentre lui era costretto fra le mura di quell'appartamento. Si incattiviva perchè avevo l'opportunità di vedere altre persone, con la palese insinuazione che potessi frequentare altri uomini. Iniziava a non sopportare più la detenzione.

Lui, nomade.. Lui anima libera e randagia, aveva raggiunto il limite della sopportazione.

Cercai di tranquillizzarlo, raccontandogli di una vita semplice, divisa fra lavoro e casa. Rassicurandolo che nessun uomo avrebbe mai potuto conquistare il mio interesse, anche solo superficiale. Ma i suoi occhi avevano una luce bestiale. Io credo che, se avesse perso quel poco senno che gli era rimasto, avrebbe anche potuto uccidermi. Era.. rancoroso.

Non vedevo l'ora di andarmene via.

Così, mentre mi davo a lui, cercai di concentrarmi sui rumori di casa. I cani, la televisione, una lavatrice impegnata nella sua folle centrifuga, le voci degli amici, rese quasi impercettibili dagli altri rumori.

Sentire la casa viva e vissuta, mi aiutava a stare più tranquilla, perchè quel giorno, ho provato cosa significa aver paura.