lunedì 12 settembre 2011

Se vuoi andare, vai.

Iniziò a parlare con lo sguardo abbassato, guardandosi le mani, che nervosamente si aggrovigliavano fra loro, ma dopo qualche minuto, il suo sguardo si alzò, e i suoi occhi incrociarono i miei e li capii quanto amore quell'uomo provava per me, perchè per la prima volta nella mia vita vidi le sue lacrime umettare gli angoli dei sui azzurri occhi.
"Parlo a nome mio, ma anche a nome di tua madre, che non ha nè la forza nè il coraggio di farlo. Sono felice che tu oggi sia venuta da me. Ti aspettavo e se tu non fossi arrivata, sarei venuto io, ma non è facile trovare le parole giuste per esprimere il proprio dolore, le proprie paure e la delusione. Ti amiamo più della nostra stessa vita, ma non puoi capirlo ancora. Saprai cos'è l'amore di un genitore, solo nel momento in cui lo diventerai.
Quindi non puoi neppure immaginare cosa abbia significato per noi, leggere quel diario..
Perchè sai benissimo che, spinti dal dolore, l'abbiamo fatto...
Non puoi sapere quindi, cosa ha voluto dire prendere coscienza che la propria figlia, negli anni più belli della sua vita, ha subito umiliazioni e violenze. E violenze.."
E nel ripetere la parola violenze, mi accarezzò i capelli.
"Auguro a te, di non provare mai un dolore simile a questo.
L'istinto immediato, è stato quello di partire, raggiungere quella persona, ovunque fosse, e mettere fine a quella insulsa e stupida vita che si ritrova.
Ma abbiamo sempre cercato di insegnarti che l'istinto spesso va domato, e che prima di agire bisogna razionalizzare un minimo. Ed è per questo che sono ancora qui.
Ma quella persona, perchè per me non ha un nome, deve sperare che la sua strada non incroci mai la mia.
Hai tradito la fiducia che ti abbiamo dato da sempre, ci hai mentito su tutto..."
" Ecco i caffè..."
La voce del cameriere mi spaventò. Non l'avevo visto arrivare, perchè avevo gli occhi innondati di lacrime, trucco che colava ovunque e mani bagnate, che continuavo a sfregare sugli occhi e sotto il naso. Cazzo, pensavo, non mi sono manco portata i fazzolettini di carta.. Ma il mio era un modo per sottrarmi relativamente alla cascata di parole che stavano bombardando la mia mente.
Sentivo il dolore di mio padre, e lo stavo facendo mio. Mi faceva male anche il cuore.
" A questo punto Manuela, devi riflettere e prendere una decisione. Noi non possiamo impedirti di fare ciò che senti. Legislativamente parlando. Potessimo, ti porteremmo via, lontano da quella famiglia, ma otterremmo solo il risultato opposto. La tua ribellione sarebbe naturale e automatica.
E allora ti dico questo.. Se hai deciso di seguire quelle persone, di fare quella vita e di continuare a farti umiliare, vai a casa, prendi tutte le tue cose e vai. Vai oggi stesso. Ma dal momento in cui uscirai dalla porta della tua casa, dimenticati di avere dei genitori . Dimenticati di avere una famiglia gagè , come tante volte l'hai chiamata nel tuo diario. Perchè noi non abbiamo messo al mondo una figlia, per saperla violentata ogni giorno, psicologicamente e fisicamente.."
E così dicendo mi strinse una mano fra le sue..

martedì 6 settembre 2011

Mio padre, il mio Dio.

Intanto le settimane scivolavano via, insieme all'inverno. Le fredde giornate di inizio marzo, si alternavano con giornate soleggiate e con squarci di primavera. Iniziava a diffondersi nell'aria, il profumo dell'imminente fioritura.
Non ero più andata a Piacenza. le scuse erano molteplici e varie, ma poco credibili evidentemente, tanto da ottenere reazioni ancora più "rumorose" da parte di Juri, che sentiva scivolare via il proprio dominio e venir meno, il potere che esercitava su di me.
La tensione che si era creata nella mia famiglia, il gelo che percepivo e l'indifferenza che dimostravano i miei genitori, nei miei confronti, aveva provocato una ferita molto profonda dentro il mio cuore. Ed è così che una mattina, decisi di affrontare mio padre.
Quella mattina la ricorderò per sempre, nitida, come se non fossero mai trascorsi gli anni. Ricorderò per sempre il viso di mio padre, mentre mi parlava, un misto fra rabbia, impotenza e dolore e non scorderò mai, neppure il tremore delle sue mani e delle sue labbra..
Così, dicevo, quella mattina, mi recai presso la località dove mio padre svolgeva il suo servizio lavorativo. Lo cercai con lo sguardo fra la folla, e subito lo vidi. Tralascio volutamente la professione di mio padre, ma non il suo aspetto fisico, imponente, che emergeva fra i comuni mortali. Così l'ho sempre definito. Un Dio, il mio Dio. Diverso da tutti gli altri uomini, per bellezza, gentilezza, disponibilità.
Ero rimasta bambina sotto questo aspetto. Mio padre continuava a essere il "mio uomo preferito", e ancora oggi lo è.
I suoi occhi azzurri, incrociarono i miei e per un attimo mi sembrò quasi che mi sorridesse, ma fu solo un attimo.
Raccolsi tutto il coraggio che potevo e gli dissi : " Papà devo parlarti " .
" Si, lo so, andiamo a sederci in un bar. Anch'io ho delle cose da dirti".
In silenzio, ci incamminammo verso il locale più vicino e una volta entrati, dopo aver ordinato due caffè, cercammo il tavolino più appartato che c'era.
Rimasi li, zitta, alla ricerca disperata delle parole. Un pò come quando a scuola, si deve iniziare un tema, e non vengono le frasi giuste e a effetto, per catturare l'attenzione del professore che dovrà dare la valutazione.
Ma fu lui a rompere il silenzio pesante che si era creato.
E fra tutte le cose che non potrò mai dimenticare, non dimenticherò mai neppure le parole che stava per pronunciare.