domenica 19 dicembre 2010

Anno nuovo, vita vecchia..

Lo studio dove lavoravo aveva chiuso i battenti, il giorno della Vigilia di natale, ed avrebbe riaperto subito dopo l'Epifania, per cui ero abbastanza libera di muovermi. Avevo ricevuto un bel numero di inviti per festeggiare l'ultimo dell'anno, e fù una gran fatica inventare scuse a destra ed a manca per "slalonare" gli amici invadenti. L'unico mio desiderio era quello di raggiungere Genova, e naturalmente trascorrere con Juri il Capodanno.
Mi organizzai con l'infame Lucia, e dopo aver raccontato ai miei genitori di un'amica che ci avrebbe ospitate a casa sua per un paio di giorni, la mattina presto del 31 dicembre, partimmo. Destinazione Genova.
Arrivammo verso l'ora di pranzo, e trovammo ad accoglierci un piacevolissimo e tiepido sole invernale. Non l'avrei mai detto, visto che a Torino il cielo era cupo e adornato di nuvoloni carichi di pioggia.
Lucia, alla guida della sua Ford Fiesta, entrò cautamente all'interno dell'insediamento, posizionato in località Foce, e, procedendo a passo d'uomo, si guardava intorno per individuare le roulottes dei nostri amici. Avevamo raccolto telefonicamente le indicazioni sull'ubicazione, ma generalmente gli insediamenti sono veri e propri labirinti, e non è facile orientarsi in mezzo a campine bianche tutte simili fra loro.
Ma quella volta fummo fortunate. Al fondo della strada che stavamo percorrendo, scorsi il Volvo grigio di Marco, parcheggiato proprio davanti all'enorme carovana di mamma e papà.
Ma forse, ancora prima di scorgere noi la Volvo, scorsero noi i bambini della famiglia, poichè sbucarono fuori dal nulla, e iniziarono a correre verso la nostra auto.
Dio come mi sentivo..a casa. Mi dava pace quel posto, quella gente e quella famiglia in particolare. Come amavo quei bambini chiassosi...
Li amavo così tanto, che sorridendo involontariamente, mi vennero le lacrime agli occhi.
Le urla dei bimbi richiamarano all'esterno della carovana Letizia, il cui viso si illuminò di gioia nel vederci. E dopo Letizia, arrivarono Rubens, Daniele, Karin, mamma e papà e tutti gli altri familiari. Fù un turbine di baci ed abbracci. Poi mamma prese le redini della situazione, e riportando la calma, invitò tutti quanti a prendere posto a tavola. Era ora di pranzo.

Come seta sulla pelle, il sole.

E' bellissima l'atmosfera del periodo che precede il Natale. Le strade della città sono allestite con abeti decorati, ai cui rami sono appesi finti pacchettini regalo, dai nastri multicolori. Collane di luci ad intermittenza, appese ai balconi delle case, danzano fra loro, come sicronizzate e rendono il paesaggio cittadino, ancora più irreale. La frenesia della gente , in corsa alla ricerca degli ultimi regali, non infastidisce. Credo sia perchè non ho mai letto nei volti di queste persone lo stress che generalmente appare sui volti della gente in corsa di qualunque altro periodo dell'anno. E' come se fosse tutto più ovattato.. più soft..! Oserei dire.. più felice. Chissà, forse davvero a Natale si è più buoni. Peccato che dal 27 dicembre si torna alla normalità, ed i visi compiacenti e sorridenti diventano nuovamente grugni insoddisfatti.
Comunque quell'anno per me il Natale aveva assunto un significato più intenso. Lo aspettavo con la stessa ansia di quando ero bambina, quando, speranzosa di poter trovare sotto l'albero i sogni di un anno intero, la sera pregavo, chiedendo perdono a Gesù Bambino per essere stata disubbidiente.
Quell'anno le luci brillavano di più, e la gente sorrideva di più. E gli abeti erano stati decorati meglio e.... Ma forse si trattava semplicemente di come io vedevo le cose, per la felicità datami dalla notizia che di li a poco avrei rivisto Juri.
Fù scarcerato la gelida ma soleggiata mattina del 29 dicembre.

mercoledì 17 novembre 2010

Dietro le sbarre.


Nei mesi successivi non accadderò avvenimenti d'importanza rilevante.

Ogni sabato ed ogni domenica, a bordo della mia Golf, raggiungevo Asti, e mi appostavo sotto le mura della Casa Circondariale. Rimanevo li l'intero pomeriggio, fino a quando il cielo iniziava a imbrunire. Allora tornavo a casa. Era il mio modo per stargli accanto. Non potevo vederlo, non mi erano concesse visite. Parcheggiavo l'auto sotto le mura del carcere, con l'illusione che lui potesse scorgermi da una di quelle finestrelle con le sbarre, e magari potesse sentire in lontananza le note delle canzoni che la mia autoradio sparava ad altissimo volume.

Stavo li e scrivevo, come se stessi parlando con lui. Pagine di scritti, fiumi di lettere, che lui non leggerà mai. Ho riempito quaderni, che purtroppo non trovo più.

Gli ho anche spedito qualche missiva, ma per rispondermi Juri aveva necessità di chiedere al compagno di cella di riportare su carta ciò che lui gli dettava, perchè il suo italiano era elementare.. da prima elementare per capirci.
Per due lunghi mesi, feci la pendolare, fino quando, una mattina di dicembre, a pochi giorni dalle festività Natalizie, il telefono dell'ufficio dove lavoravo squillò.
Rispose Marinella, con la sua voce calda e sicura, che divenne immediatamente fredda nell'attimo in cui mi chiamò dicendo "è per te"..!
Dall'altro capo del filo era Pablo. Potevo immaginare dal tono eccitato della sua voce, anche l'espressione del suo viso. Quando Pablo sorrideva, tutti i muscoli del suo volto partecipavano e gli occhi diventavano lucenti.
Mi disse che il giudice aveva concesso gli arresti domiciliari a Juri, e che fra Natale e Capodanno, l'avrebbero scarcerato. Asserì anche che avevano individuato il domicilio e che Juri avrebbe soggiornato presso uno zio di Letizia, in un vecchio cascinale situato nella parte montana alle spalle di Genova.
Un altro periodo era trascorso.. Pensavo il più duro, ma non era così.

La Passione.

E così fù, come preannunciato la sera prima.
Quella mattina mi alzai come il solito, mi lavai come il solito e mi preparai come il solito. Tutto come il solito; anche il tragitto verso l'ufficio era il solito, ma solo il mio corpo compiva queste solite azioni. Un'automa, un corpo guidato da un pilota automatico.
La mia mente era lontana anni luce dal mio corpo.
Iniziò un lungo Calvario.. Un percorso di Passione, come lo chiamò Lui
Quella mattina di ottobre si costituì, e fù immediatamente arrestato.
Igiorni che seguirono li ricordo a malapena, perchè furono intensi e confusi.
Vi fù il processo per direttissima, al quale io, avvisata dai fratelli, partecipai.
Chiesi un giorno di ferie, che mi fù concesso solo grazie alla mia collega che si prestò a coprire anche il mio incarico.
C'era il sole la mattina in cui mi presentai davanti alle porte del Tribunale di Asti. Sembrava fosse tornata l'estate, a dispetto di chi l'estate la vive all'aria aperta, fra musica, giochi e brezza che scompiglia i capelli.
Insieme a tutto il resto della famiglia, seduta sul gradino del marciapiede, permettevo a quell'ultimo caldo sole di penetrare la mia pelle, sperando di poter abbracciare Juri e di potergli trasmettere tutto il mio calore, ed il calore di quel sole che per un pò non avrebbe più potuto lambirlo.
Fù tragico quando arrivo la camionetta delle guardie penitenziarie. Dal portellone posteriore scesero tre uomini. L'ultimo a scendere fù Juri. Le manette stringevano i sui polsi magri, ed il suo capo era chino. Non alzò lo sguardo nemmeno quando sua madre invocò disperata il suo nome. Io ero impietrita.
Entrammo anche noi.
Il processo iniziò dopo circa mezzora, e fù molto breve. La condanna ci colpì come un macete. Dopo la sentenza le guardie lo aiutarono ad alzarsi dalla panca, e fù in quel momento che sua madre e sua sorella iniziaro ad urlare, ad imprecare contro il Giudice, contro la Giustizia in generale.
Come una "posseduta" piangendo, iniziai ad urlare a mia volta. Non c'era verso di arrestare la mia voce e le mie lacrime, e più i suoi fratelli cercavano di zittirmi, stringendomi a loro, più imprecavo ed insultavo la Corte.
Ricordo invece in modo nitido lo sguardo di Juri mentre lo trascinavano via. Ricordo le sue parole.." Non starò molto qui. Manuela..prenditi cura di mia mamma. Non lasciarla sola. Portala via di qui, portala via....".

mercoledì 28 luglio 2010

Voglio pagare..



Tornai la sera successiva, ed anche quella dopo, con il mio prezioso carico composto da lattine di Tuborg nascosto nello zaino.
Maddalena protestava ogni volta che uscivo di casa, voleva accompagnarmi, ma era impossibile. Lui voleva la birra ..e me. Solo questo.
Ogni sera si ripeteva la stessa scena. Ormai sapevo dove passare e come bussare, non era neppure più necessario farmi annunciare dalla cognata o dal fratello.
Entrata nella campina gli consegnavo lo zaino, all'interno del quale frugava alla ricerca della sua dipendenza. Beveva tracannando la bevanda alcolica e mi prendeva. Sempre nello stesso modo, sempre con la stessa fretta. Arrivai anche a pensare che questi amplessi armoniosi e ricchi di particolari eccitanti che raccontavano le mie amiche e le mie colleghe, esistessero solo nelle loro fantasie e nei film porno. Ma mi andava bene lo stesso, l'importante era vederlo soddisfatto ed appagato, ed apparentemente, ogni volta che me ne andavo, lo era.
Da incosciente non mi ponevo il problema del concepimento, me lo ricordò lui quando una sera mi chiese se avevo ritardi del ciclo. Poi aggiunse " Se rimani incinta meglio, prendi la tue cose e ti trasferisci qui da mio fratello. Prima ci sposiamo, meglio è. Ho bisogno che la mia donna mi stia vicina, e che si prenda cura di me. Dovrò affrontare un lungo e difficile periodo e ti voglio accanto.. Ho deciso di costituirmi e di pagare ciò che devo. Questa latitanza mi farà morire, ho parlato con l'avvocato. Domani mi presenterò ai Carabineri di Asti...Sia quel che sia, ma tu ci devi essere.."
Era fine ottobre, e nonostante la temperatura fredda annunciasse un rigido inverno, il mio corpo fu pervaso da un calore insopportabile.

Due cuori ed una campina..

Valeria busso con forza sulla porticina.
" Juri..duerta sun mi..."
Poi senza aspettare girò i tacchi e se ne andò.
Io rimasi qualche secondo che mi sembrò eterno, ad aspettare e quando la piccola porta bianca si aprì, trovai di fronte a me un Juri invecchiato.
Era dimagrito, il viso scavato e stanco. Aveva tagliato i suoi lunghi capelli biondi e l'immagine era quella di un uomo consumato.
" Entra" fu la prima parola che pronunciò, nessun saluto, nessun abbraccio, nessun sorriso...
Mi tornò alla mente ciò che era successo a maggio; strano, fino a quel momento non ci avevo pensato, invece ora le gambe mi tremavano.
Lo spazio interno delle campine è molto limitato, per cui entrai e mi posizionavi sul lato opposto del letto sfatto, mentre lui chiudeva la porticina assicurandola con un chiavistello artigianale.
Poi si mise seduto sul letto "Cosa fai in piedi..? Vieni qui.."
Probabilmente scorse nei miei occhi tutto il film che in quel momento proiettava la mia mente, e quindi la paura, perchè a quel punto il suo sguardo si fece dolce.. " Vieni vicino a me.. non ti farò del male.."
Lo raggiunsi, e facemmo l'amore.
Oh, non fù sicuramente come la prima volta, non era ubriaco, non fù violento e io non mi opposi, ma fù un amore molto meccanico. Nessun preliminare, nessuna coccola, nè prima nè dopo, non ci spogliammo neppure completamente. Doveva sfogare un istinto e saziare un bisogno fisiologico, placare una voglia dettata dall'astinenza forzata.
Ricordo che ero molto impacciata, non sapevo come muovermi, dove mettere le mani.. in fondo era come fosse la prima volta. Si certo non ero bacchettona, in teoria sapevo perfettamente cosa si doveva fare ma un conto è saperlo, un'altra cosa è mettere in pratica, specialmente quando il patner vuole concludere velocemente per la troppa voglia.
Infatti durò molto poco, e non mi vergogno a dirlo, ma nel frangente credetti anche di essere frigida, perchè non provai alcun piacere in ciò che feci.
Terminato si rimise i pantaloni, si accese una sigaretta e guardando sospettosamente fuori dalla finestrella, mi domandò se potevo tornare l'indomani sera. Naturalmente non c'era problema, speravo in quella domanda, come speravo che fosse legata alla volontà di stare con me.
Probabilmente desiderava anche vedermi, chissà, ma non fù quella la sensazione che ebbi, quando nel congedarmi si raccomandò di portare con me qualche lattina di birra.
Quando la porta bianca della roulotte si chiuse alle mie spalle, il silenzio avvolgeva il campo. Non era tardi, ma le famiglie erano rinchiuse nelle rispettive carovane. Forse perchè era umido e faceva freddo.
Era la prima volta che mi trovavo in un insediamento in quel periodo preinvernale.. e come era diverso rispetto all'estate. Per la prima volta provai un senso di tristezza e di angoscia per quello stile di vita.
Passai a prendere Maddalena da Valeria e salutando annunciai che ci saremmo riviste la sera dopo.

sabato 24 luglio 2010

Cuore in tilt..

Mano a mano che mi avvicinavo, vedevo sempre più distintamente i colori delle carovane dei Sinti. Ce ne sono di bellissime, che una volta piazzate, si aprono a fisarmonica creando all'interno dei saloni favolosi. Nulla da invidiare ad un comune appartamento.
Ci sono ditte specializzate che ne curano gli arredamenti, per cui tutto all'interno è armoniosamente su misura.
Allungai il passo.. e scorsi immediatamente la carovana di Pablo e Valeria. Bella, cromata, con le tendine di pizzo alle finestre e le biciclette dei bambini all'esterno, addossati alla carrozzeria.
La familiarità di quella visione creò in me eccitazione.
Quando fui davanti alla scala che conduce alla porta d'ingresso, avevo ilcuore che batteva a 1000. Avessi indossato un cardio frequenzimetro, sicuramente avrebbe rilevato un battito da infarto.
Bussai.
Dopo qualche istante Valeria aprì la porta e d'impeto mi abbracciò quasi soffoncandomi, poi vide Maddalena e smorzando il suo sorriso, mi chiese il motivo per il quale avevo portato anche lei.
Entrai nella caravona, dove i bambini, intenti a guardare la televisione, si alzarono dal divano venendo educatamente a salutare.
Sapevo di aver fatto un errore portando anche mia sorella.
Nonostante il disappunto per la presenza di Maddy , Valeria la invitò a stare con i bambini, dandole l' incarico di fiducia di badare a loro mentre lei mi avrebbe accompagnata da Juri.
Maddy mi lanciò uno sguardo deluso; sicuramente sperava di vedere anche lei l'amico giostraio che durante le feste patronali la riempiva di gettoni dell'autoscontro. Ma sapevamo benissimo che non c'era la possibilità di contestare quanto già deciso, per cui mia sorella si sedette sul divano in alcantara blu mare, insieme ai piccoli, che non aspettavano altro per saltarle sulle ginocchia e giocare.
Valeria mi fece strada.
Uscimmo dalla carovana, e girando attorno ad essa, scorsi una campina bianca dalla quale non proveniva nessuna luce. Li era nascosto Juri.
I'ipotetico cardio frequenzimetro sarebbe andato in tilt...

giovedì 15 luglio 2010

Rom ..

Man mano che ci avvicinavamo alle roulottes dei nomadi, il loro vociare chiassoso alimentava la mia insicurezza. Avevo una tremenda paura, ma non tanto per me.. ma per Maddalena che ad ogni passo stringeva sempre di più la mia mano.
Ora anche senza musica a palla, non parlava più.
Un nugolo di bambini seminudi ci venne incontro correndo, e dietro di loro arrivarono due donne, vestite di abiti coloratissimi ma lerci. Cercai di impostare un sorriso cordiale e di ostentare una sicurezza che non avevo. Tremavo talmente tanto che temevo se ne potessero accorgere. ed il buio sicuramente non mi aiutava.
Il campo era illuminato da falò puzzolenti, alimentati da legno ma anche da meteriali di gomma o di plastica. I Rom notoriamente bruciano i cavi dei fili elettrici, prelevati chissà dove e chissà come, per ricavarne il rame che vi è all'interno, che poi rivendono a caro prezzo.
L'odore schifoso dei falò si mischiava al profumo della carne grigliata.
I bambini che ormai ci avevano raggiunte, ridevano, spingendosi uno con l'altro in un gioco fatto di nulla, osservandoci dalla testa ai piedi.
Le donne iniziarono a gesticolare parlando con tono alto e aggressivo in un italiano a malapena comprensibile.
Volevano sapere chi eravamo, e cosa ci facevamo nel loro insediamento, fino a quando vidi una figura maschile prendere forma da dietro le zingare. Una figura enorme, ai miei occhi spaventati, dove ciò che predominava era una circonferenza addominale sproporzionata, tipica di chi ingurgita litri di birra a qualunque ora del giorno e della notte.
Ciononostante, questa figura fù la mia salvezza. Zittì le donne con una parola, che non compresi, ma bastò quella per mettere fine alle urla dei bambini e delle rom, che con fare dimesso si spostarono abbassando il capo.
Quell'uomo, dall'olezzo ripugnante, e dai baffi importanti, mi chiese cosa ci facessi li.
Risposi semplicemente che cercavo il campo dei Sinti, e che mi ero persa; che non era stata mia intenzione disturbarli e con voce volontariamente sottomessa, lo pregai di aiutarmi.
Fù lui stesso ad invitarmi a seguirlo, accompagnandomi.
Passammo in mezzo al loro insediamento, e sembrerà assurdo che mi sia fidata della situazione, avrebbe potuto portarci ovunque e farci qualunque cosa, ma improvvisamente invece mi sentivo tranquilla.
Passammo in mezzo alle faticenti roulottes, dalle quali finestrelle facevano capolino visi incuriositi di giovani femmine e di bambini dallo sguardo severo, fino a quando raggiungemmo un'altra area da dove in lontananza si scorgevano le luci delle carovane dei sinti.
Li si fermò.
Fra i Rom ed i Sinti non scorre buon sangue. Pur essendo entrambi nomadi, i ceti sociali sono differenti. Anche la religione lo è, i Rom sono Mussulmani, i Sinti Cristiani.
Sembra una stupidaggine, ma quando a monte ci sono già delle radicate incomprensioni, basta una scintilla, un pretesto, per far nascere una guerra.
Mi disse che avrei dovuto continuare da sola. Poi mi guardo con uno sguardo quasi di tenerezza, o forse compassione, e si raccomandò, se mai fossi tornata a trovare i miei amici, di farmi indicare da loro dove avrei dovuto entrare, per evitare di ritrovarmi nella situazione vissuta poco prima.
Lo ringraziai, e mi incamminai. Lui stette ancora li, fermo a guardarci per qualche istante, poi ritornò verso i falò.
Credo fosse il capo villaggio.

mercoledì 14 luglio 2010

La Pellerina

Il mattino successivo mi alzai presto dopo una notte quasi insonne. Una pioggerellina autunnale cadeva fitta fitta e la prima cosa che pensai fù.."accidenti, l'umidità mi farà arricciare i capelli...".
Volevo essere bellissima per lui quella sera, e la giornata era ancora lunga. Il mio innato ottimismo mi portò ad immaginare che avrebbe smesso di piovere, e così fù.
Lavorai tutto il giorno cercando di concentrarmi su quanto stavo facendo. Un'impresa ardua.
Non parlai con le mie colleghe di quanto era accaduto la sera prima, avevo troppa paura che cercassero di convincermi a desistere, a non andare. Sapevo come la pensavano. Naturalmente non vedevano di buon occhio questo Sinto che definivano un emerito bastardo.
Tornai a casa prima del solito quella sera, mangiai con uno sforzo sovraumano, visto che l'ansia mi aveva letteralmente serrato lo stomaco. Poi mi preparai.
Dovetti inventare una scusa per uscire, non perchè i miei genitori non mi concedessero libertà , ma perchè portavo con me mia sorella, fatto inusuale per loro.
Quindi raccontai di una compagna di scuola trasferitasi nelle Marche, che non vedevo da tempo. Inventai che codesta compagna era ospite per qualche giorno dagli zii a Torino, e aggiunsi di averla sentita nel pomeriggio organizzando con lei una rimpatriata con annessa passeggiata in centro. In merito al portare con me Maddalena, affermai che la mia amica avrebbe portato con se la cuginetta, figlia degli zii che l'ospitavano.
Ora come ora, mi sembra una scusa ridicola, ma i miei genitori allora credettero. Avevano molta fiducia in me, ancora per poco però.
Raggiunsi in auto l'immenso Parco della Pellerina. La musica a palla della radio, aveva per un attimo messo a tacere mia sorella, che probabilmente eccitata per la situazione più che per il fatto di rivedere Juri, non era riuscita a stare zitta e ferma un solo minuto.
Parcheggiai l'auto sul corso adiacente al Parco, e scendemmo.
Lo sguardo iniziò a perlustrare il grande piazzale sterrato, che nel periodo di carnevale ospita le attrazioni, ai confini del quale inizia il Parco vero e proprio.
Premetto che La Pellerina è un parco immenso, attraversato dal fiume Dora. Non so quantificarne l'estensione, ma per rendere l'idea, potrebbe avere la stessa superficie di un vasto quartiere cittadino, con viali sterrati e non, che si inoltrano in mezzo a fitte boscaglie curatissime. All'interno sono presenti numerose aree ricche di attrezzi create per la ginnastica dei podisti, ed aree riservate ai pic nik domenicali. Ci si potrebbe addirittura perdere inoltrandosi in esso.
All'interno dell'area sterrata che ho menzionato poco fà, vi erano vecchie roulottes ed altrettanto vecchie grosse automobili , tipo Mercedes che nulla avevano a che fare con le campine e le carovane dei Sinti. Capii che erano insediamenti di zingari rom, e mi pentii di aver portato con me Maddalena, ma ormai ero li, non potevo tornare indietro. Mi feci coraggio, presi per mano mia sorella e mi incamminai verso l'ingresso, raccomandandomi con lei di non staccarsi da me per nessun motivo.

martedì 29 giugno 2010

mia sorella Maddalena..

Quella sera tornai a casa con una luce diversa negli occhi, tanto luminosa che persino mia madre si accorse di qualcosa, ma non osò approfondire.
Ovviamente i miei genitori non erano al corrente di nulla. L'unica persona della mia famiglia che era a conoscenza della storia era mia sorella, allora tredicenne. Lei sapeva della rapina e sapeva che ero innamorata di Juri, ma non conosceva i particolari della mia "relazione" . Le avevo risparmiato le parti più dolorose.
Con Maddalena avevo un rapporto bellissimo. Nonostante fra noi due ci fossero molti anni di differenza, il nostro rapporto era profondissimo, come lo è tutt'ora. Più matura rispetto alla sua età, era la mia confidente, e fiera di quel ruolo da grande, conservava le mie confidenze come reliquie.
A tavola Maddalena mi guardava sorniona, aveva capito anche lei che qualcosa era successo, mi toccava con la sua gambetta e quando alzavo lo sguardo verso di lei, ammiccava un sorriso malizioso. Sapevo che non vedeva l'ora di appartarsi con me per sapere, ed io non vedevo l'ora di farlo. avevo un bisogno incontrollabile di sfogarmi.
Finita la cena andammo nella nostra cameretta. Quanto era divertente tenerla in ansia, e rispondere in modo evasivo alle sue domande; poi quando neppure io non riuscii più a nascondere il motivo di tanta euforia, le dissi ..." domani sera vieni con me.. andiamo da Juri".

non si abbandona chi si ama..

Mi raccontò in breve che Juri si era messo in contatto con loro da subito, scusandosi, anche a nome del resto della famiglia, di avermi tenuto nascosto il fatto, mi spiegò la decisione di rimanere a Torino per non lasciarlo solo visto che era braccato e non aveva posto dove rifugiarsi. Alla fine del discorso mi pregò di non abbandonarlo proprio ora, che più che mai aveva bisogno di me.
Abbandonarlo..? Mai mi era passato tale pensiero nella mente. Era la mia vita, e tutto il resto non aveva nessuna importanza, per cui a quella affermazione risposi con una domanda .."quando devo venire?" .
La risposta fù .." da stasera in poi ...tutte le volte che puoi.."

mercoledì 23 giugno 2010

La rivelazione..

Con settembre arrivò l'autunno, e con l'autunno ricominciai a lavorare nel solito studio del solito Commercialista. Cercavo di tenere impegnata la mia mente, dedicandomi al lavoro, ed uscendo con le amiche di sempre, le quali come in una affettuosa gara di solidarietà, mi trascinavano nei locali più frequentati, nella speranza che qualche bel moretto potesse cancellare i miei ansiosi pensieri. Ma non davo spazio a nessuno, non permettevo a nessuno di entrare nella mia testa, non mi andava....
Una sera di fine settembre, terminata la giornata lavorativa, mi soffermai con le mie due simpaticissime colleghe Marinella e Rosy, davanti allo stabile ove lavoravamo. Era quasi un rito. Durante l'orario di lavoro, non sempre avevamo tempi morti per poter "cazzaggiare" , ma una volta chiuso lo studio, già in ascensore durante la discesa dall'alto piano in cui esso era situato , iniziavamo a tempestarci di cavolate, per terminare la giornata ridendo. Con loro era fantastico. Spesso ridevamo di nulla, ci bastava cogliere uno sguardo per iniziare con una serie di supidaggini senza senso. Ma il bello di essere giovani forse è anche questo.
Ci fermammo sul marciapiede qualche minuto, poi ci congedammo.
Mi incamminai verso la mia vettura, targiversando in quanto rovistavo nella borsa per trovare le chiavi della mia macchina, quando una figura familiare, ferma dall'altra parte della strada mi fece salire il cuore in gola.
Fermo, nella posizione tipica che assumono i sinti, appoggiato alla parete di uno stabile, intento a fumare una sigaretta, c'era Pablo, il quale appena accortosi che l'avevo riconsciuto, nonostante l'imbrunire, inarcò la schiena per staccarsi dal suo appoggio improvvisato, ed attraversò la strada venendo verso di me.
Mi sarebbe piaciuto trovarmi nei panni di un'altra persona per poter fotografare il mio viso in quel momento ed averne un ricordo nitido. Posso solo dire che l'impressione che avevo era che tutti i miei muscoli, non rispondessero più ai comandi. Provavo sensazioni che andavano dalla felicità di vederlo, ai sensi di colpa perchè fino a pochi minuti prima avevo riso, dando l'impressione di aver dimenticato la usa del mio dolore a chi mi vedeva dall'esterno.
Il suo saluto fù senza parole. Mi abbracciò in silenzio, poi si allontanò da me chiedendomi come stavo.
Parlammo per qualche minuto del più e del meno. Discorsi di circostanza del tipo "come state..?" fino a quando fù lui ad intavolare l'argomento a cui più tenevo.
Mi disse che lui e Valeria erano accampati all'interno del grande Parco della Pellerina. Strano pensai, non era mai successo che in quel periodo dell'anno qualcuno di loro fosse piazzato ad una così lunga distanza dal resto della famiglia. Poi aggiunse un paricolare.. Juri era con loro. Un calore si irradiò lungo tutto il mio corpo. Non esagero nel dire che ebbi una specie di mancamento. Mi sfogai mettendomi a piangere..

martedì 22 giugno 2010

la festa è finita..ma non c'è pace..

Il giorno in cui smontarono le giostre, fù uno dei giorni più terribili. Sapevo che da li a poche ore sarebbero ripartiti tutti verso la Liguria, ed avrebbero portato con se la risposta alla mia domanda.
Aiutavo le donne a riporre gli oggetti, a piegare i panni stesi, a rincorrere le galline che fino a quel momento avevano razzolato per la piazza ( sembravano animali domestici, non si allontanavano mai dalle carovane) per rinchiuderle nelle gabbie di metallo.
Eseguivo i miei compiti nascondendo le lacrime che bagnavano il mio viso. Credo di aver provato poche volte in seguito, un'angoscia così grande.
Non capivo Lucia, la mia amica. Lei, che per altro pur vantando la sua appartenenza alla famiglia, non so bene con quale ruolo, visto che non la considerava nessuno dei fratelli, non aiutava mai nelle faccende, se ne stava appoggiata alle transenne delimitanti la piazza, a sghignazzare con i ragazzotti del paese.
E beh ..certo... passata la festa quello rimaneva, quello era il suo mondo. Doveva riallacciare i rapporti, in previsione del lungo inverno, con coloro con cui li aveva interrotti all'inzio dell'estate.
Quello che non riuscivo a capire era il suo menefreghismo, la sua freddezza. Ma poteva mai avere così poca sensibilità? un'anima così spoglia? Avrei già dovuto conoscere la risposta, ma all'epoca non era così.
Nel primo pomeriggio incominciarono a muoversi i primi autoarticolati, una parte di me se ne stava andando via con loro.
Morii definitivamente quando a partire fù l'ultima carovana, quella di Marco e Letizia. Quest'ultima prima di salire nella cabina mi tirò a se e tenendomi stretta mi sussurrò " ..ti faremo sapere.. stai tranquilla".
Dimenticavo di dire che Letizia era stata a sua volta una Camminante. Proveniva da una famiglia di stanziali non molto agiata che abitava nelle montagne poste alle spalle di Genova. Forse lei era l'unica che in quel momento mi capiva.
Io seguii con lo sguardo il grande mezzo, fino a che lo vidi scomparire al fondo della strada comunale, dove la stessa si immette nella provinciale. Marco prima di svoltare a sinistra in direzione di Asti, dove avrebbe poi imboccato l'autostrada, suonò a lungo le trombe bitonali del tir.. mi stava salutando...

la rapina..

Cenai velocemente ... o meglio ingurgitai ciò che mia madre aveva cucinato, senza nemmeno sentirne il sapore. L'aiutai a sistemare come sempre. Mentre liberavo il tavolo dalle stoviglie, all'improvviso sentii in lontananza rimbombare dalle potenti casse dell'autoscontro la musica. Ciò mi diede un apparente sollievo.
Decine di pensieri e di supposizioni, si accavallavano nella mia mente, mentre le note di Der Kommissar riecheggiavano nell'aria raggiungendo le mie finestre.
Alle 21.00 ero nuovamente in piazza. Le attività erano apparentemente quelle di sempre, ma i visi dei miei amici giostrai avevano espressioni che non conoscevo.
Mi infilai nella carovana della mamma. Era la prima cosa che facevo quando arrivavo. E' un segno di grande rispetto salutare i capi famiglia prima di qualunque altra cosa.
In realtà quella sera non pensai alle gerarchie da rispettare, avevo bisogno di sapere cosa fosse successo, e nulla mi fù nascosto.
Seduta vicino al tavolo, la madre accarezzava la tovaglia con movimenti continui e lenti, quasi autistici, fissando il movimento delle proprie mani. Vicina a lei, in piedi c'era la figlia Karin, che seguendo quasi lo stesso ritmo, le accarezzava la spalla.
Al mio ingresso, Karin si fermò e cercò di sorridermi, invitandomi a sedere. Poi iniziò a parlare. Mi disse che nel primo pomeriggio a San Paolo Sobrito, tre ragazzi armati avevano eseguito una rapina in una tabaccheria, in realtà una di quelle botteghe tipiche dei paesini, ove oltre ai sali e tabacchi, ci puoi trovare di tutto. Continuò, dopo una pausa.. anche se non era necessario essere prespicaci per immaginare il continuo. Bonzo, Ceres e ovviamente Juri, erano i tre rapinatori. Intercettati a seguito della segnalazione fatta dall'esercente dopo il fatto, erano stati inseguiti dai carabinieri lungo le strade delle colline astigiane, fino a quando si erano visti costretti ad abbandonare l'auto per continuare la fuga a piedi.
Ma mentre i primi due, venivano catturati dalle forze dell'ordine, Juri riusciva a far perdere le proprie tracce. Portati in Caserma, fornivano immediatamente l'identità del loro amico, dando tutte le coordinate per poterlo rintracciare presso la sua famiglia, dove pensavano fosse andato a rifugiarsi.
Sinceramente in quel momento, l'unica cosa che mi interessava, non era l'accaduto di per se, ma sapere dove fosse lui. Sapevo anche che mi era vietato chiedere, ci sono regole da rispettare e cose che non si domandano, si aspetta il momento giusto per essere spontaneamente informati da chi decide che è l'ora di farlo. In quel frangente però non riuscii ad evitare la domanda, ma naturalmente non ricevetti risposta....

lunedì 21 giugno 2010

Le gazzelle non sempre hanno le zampe..

Potevano essere le 18.00 ( il ricordo è nebuloso) quando giunsero in piazza tre gazzelle dei Carabinieri. Ovviamente le attenzioni di tutti si rivolsero a quella insolita presenza. Non riconobbi nei componenti delle pattuglie, i carabinieri del paese, che conoscevo benissimo, trattandosi di una piccola Stazione.
Scesero dalle auto, vidi andare loro incontro Marco, ed il piccolo Marcello, che dopo pochi minuti fù allontanato dallo stesso fratello maggiore, con un gesto di stizza, mentre le donne, uscite dalle rispettive carovane e campine, non azzardavano ad avvicinarsi, osservando impietrite.
Dalla mia postazione potevo vedere chiaramente la conversazione esagitata, Marco gesticolava come mai avevo visto in precedenza, ma per ovvi motivi, non sentivo nulla di ciò che si stavano dicendo.
Poi con movimenti autoritari ( che solo ora capisco, e chi mi conosce sa perchè..) I gendarmi si divisero in due gruppi ed iniziarono a perlustrare l'interno delle roulottes.
L'ansia che già in precedenza provavo, si trasformò in paura. Sentivo che tutto ciò era legato a Juri, lo sentivo senza saperne ancora il motivo. Non osavo allontanarmi dalla posizione in cui mi trovavo, sapevo di non poterlo fare. Le donne, se non interpellate, devono tacere...
Di li a poco mi raggiunse Pablo. Le sue uniche parole, mentre chiudeva i battenti della giostra furono "vai a casa".
Non ebbi nè la forza nè il coraggio di domandare nulla. Scesi in silenzio dal carro e me ne tornai a casa mia.