giovedì 15 luglio 2010

Rom ..

Man mano che ci avvicinavamo alle roulottes dei nomadi, il loro vociare chiassoso alimentava la mia insicurezza. Avevo una tremenda paura, ma non tanto per me.. ma per Maddalena che ad ogni passo stringeva sempre di più la mia mano.
Ora anche senza musica a palla, non parlava più.
Un nugolo di bambini seminudi ci venne incontro correndo, e dietro di loro arrivarono due donne, vestite di abiti coloratissimi ma lerci. Cercai di impostare un sorriso cordiale e di ostentare una sicurezza che non avevo. Tremavo talmente tanto che temevo se ne potessero accorgere. ed il buio sicuramente non mi aiutava.
Il campo era illuminato da falò puzzolenti, alimentati da legno ma anche da meteriali di gomma o di plastica. I Rom notoriamente bruciano i cavi dei fili elettrici, prelevati chissà dove e chissà come, per ricavarne il rame che vi è all'interno, che poi rivendono a caro prezzo.
L'odore schifoso dei falò si mischiava al profumo della carne grigliata.
I bambini che ormai ci avevano raggiunte, ridevano, spingendosi uno con l'altro in un gioco fatto di nulla, osservandoci dalla testa ai piedi.
Le donne iniziarono a gesticolare parlando con tono alto e aggressivo in un italiano a malapena comprensibile.
Volevano sapere chi eravamo, e cosa ci facevamo nel loro insediamento, fino a quando vidi una figura maschile prendere forma da dietro le zingare. Una figura enorme, ai miei occhi spaventati, dove ciò che predominava era una circonferenza addominale sproporzionata, tipica di chi ingurgita litri di birra a qualunque ora del giorno e della notte.
Ciononostante, questa figura fù la mia salvezza. Zittì le donne con una parola, che non compresi, ma bastò quella per mettere fine alle urla dei bambini e delle rom, che con fare dimesso si spostarono abbassando il capo.
Quell'uomo, dall'olezzo ripugnante, e dai baffi importanti, mi chiese cosa ci facessi li.
Risposi semplicemente che cercavo il campo dei Sinti, e che mi ero persa; che non era stata mia intenzione disturbarli e con voce volontariamente sottomessa, lo pregai di aiutarmi.
Fù lui stesso ad invitarmi a seguirlo, accompagnandomi.
Passammo in mezzo al loro insediamento, e sembrerà assurdo che mi sia fidata della situazione, avrebbe potuto portarci ovunque e farci qualunque cosa, ma improvvisamente invece mi sentivo tranquilla.
Passammo in mezzo alle faticenti roulottes, dalle quali finestrelle facevano capolino visi incuriositi di giovani femmine e di bambini dallo sguardo severo, fino a quando raggiungemmo un'altra area da dove in lontananza si scorgevano le luci delle carovane dei sinti.
Li si fermò.
Fra i Rom ed i Sinti non scorre buon sangue. Pur essendo entrambi nomadi, i ceti sociali sono differenti. Anche la religione lo è, i Rom sono Mussulmani, i Sinti Cristiani.
Sembra una stupidaggine, ma quando a monte ci sono già delle radicate incomprensioni, basta una scintilla, un pretesto, per far nascere una guerra.
Mi disse che avrei dovuto continuare da sola. Poi mi guardo con uno sguardo quasi di tenerezza, o forse compassione, e si raccomandò, se mai fossi tornata a trovare i miei amici, di farmi indicare da loro dove avrei dovuto entrare, per evitare di ritrovarmi nella situazione vissuta poco prima.
Lo ringraziai, e mi incamminai. Lui stette ancora li, fermo a guardarci per qualche istante, poi ritornò verso i falò.
Credo fosse il capo villaggio.

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