giovedì 29 dicembre 2011

Libero lui, rinchiusa io.

Quella mattina di fine maggio, ricevetti la telefonata di Lucia. Eccitata come una scimmia, mi annunciava che finalmente Juri era libero, e che nel primo pomeriggio, Marco sarebbe andato a prenderlo a Piacenza, e l'avrebbe portato a Castelnuovo, ove lo aspettava il resto della famiglia.
Naturalmente, lo sapevo già da almeno un paio di giorni, avvisata dallo stesso Marco, che mi aveva anche chiesto di accompagnarlo. Invito che avevo declinato, con la scusa di non poter prendere ferie.
Era venerdì, e per festeggiare la scarcerazione, avevano organizzato un grande pranzo per il giorno successivo, al quale naturalmente ero invitata a partecipare.
Lucia parlava senza quasi respirare, alternando risatine isteriche a finti pianti di gioia. Poi ci fu un attimo di silenzio, durante il quale probabilmente prese fiato, e li percepì la mia inquietudine.
"Ehi, che hai? non sei contenta cazzo? Hai aspettato mesi questo momento. Che c'è?"
Chissà perchè, i miei "non ho niente" come risposta, non hanno mai convinto i miei interlocutori.
In realtà, non avrei neanche saputo spiegare cos'avevo. Avrei dovuto gioire? E per quale motivo? Forse, unicamente, per la conquistata libertà di un uomo, che dietro le sbarre sarebbe stato presto sopraffatto dall'alcol e dalla depressione.
Non c'erano altro motivi per i quali gioire. Stava arrivando il momento della decisione. Quella che avrebbe dato una svolta alla mia vita. E "la decisione" avrebbe inevitabilmente ferito profondamente qualcuno.
Cosa potevo rispondere a quella donna, la cui scontatezza era disarmante? La sua profondità d'animo era pari a quella di una ruga sulla fronte di una trentenne, paragonata ai solchi sul collo di un contadino.
Eppure, fino al momento in cui Juri per me rappresentava qualcosa di vitale, la sentivo amica, una complice indispensabile. Ero convinta di essere compresa solo da lei.
Ora invece la vedevo stupida, vuota, priva di senso.
"Va bene" le dissi "Ci vediamo domani verso mezzogiorno a Castelnuovo"
E con questo, la licquidai.

venerdì 7 ottobre 2011

Avvicinandosi alla decisione.

Ero scossa. E scossa rimasi per tutto il resto della giornata e per i giorni a venire.
Coronare il sogno di diventare una sinta, e definitivamente la donna di Juri, in cambio, perdere la mia famiglia.
Oltre al lato affettivo, vi erano anche problemi logistici in questa decisione, che, ormai, non potevo più ritardare. Il mio lavoro per esempio. Grazie ad un gioco di passaparola ed a un colpo di culo, avevo iniziato a lavorare in quell'ufficio, subito dopo la maturità. In pochissimo tempo avevo conquistato la fiducia del mio datore di lavoro. Ora, lasciandolo dal giorno alla notte, gli avrei creato non pochi problemi.
Avrei voluto fermare il tempo, giusto per poter riflettere senza sentirmi oppressa dallo scorrere delle giornate.
A dispetto di questo mio desiderio, invece il tempo trascorreva ancora più velocemente, ed in un attimo fu maggio, e in un attimo Juri terminò il periodo di detenzione.




lunedì 12 settembre 2011

Se vuoi andare, vai.

Iniziò a parlare con lo sguardo abbassato, guardandosi le mani, che nervosamente si aggrovigliavano fra loro, ma dopo qualche minuto, il suo sguardo si alzò, e i suoi occhi incrociarono i miei e li capii quanto amore quell'uomo provava per me, perchè per la prima volta nella mia vita vidi le sue lacrime umettare gli angoli dei sui azzurri occhi.
"Parlo a nome mio, ma anche a nome di tua madre, che non ha nè la forza nè il coraggio di farlo. Sono felice che tu oggi sia venuta da me. Ti aspettavo e se tu non fossi arrivata, sarei venuto io, ma non è facile trovare le parole giuste per esprimere il proprio dolore, le proprie paure e la delusione. Ti amiamo più della nostra stessa vita, ma non puoi capirlo ancora. Saprai cos'è l'amore di un genitore, solo nel momento in cui lo diventerai.
Quindi non puoi neppure immaginare cosa abbia significato per noi, leggere quel diario..
Perchè sai benissimo che, spinti dal dolore, l'abbiamo fatto...
Non puoi sapere quindi, cosa ha voluto dire prendere coscienza che la propria figlia, negli anni più belli della sua vita, ha subito umiliazioni e violenze. E violenze.."
E nel ripetere la parola violenze, mi accarezzò i capelli.
"Auguro a te, di non provare mai un dolore simile a questo.
L'istinto immediato, è stato quello di partire, raggiungere quella persona, ovunque fosse, e mettere fine a quella insulsa e stupida vita che si ritrova.
Ma abbiamo sempre cercato di insegnarti che l'istinto spesso va domato, e che prima di agire bisogna razionalizzare un minimo. Ed è per questo che sono ancora qui.
Ma quella persona, perchè per me non ha un nome, deve sperare che la sua strada non incroci mai la mia.
Hai tradito la fiducia che ti abbiamo dato da sempre, ci hai mentito su tutto..."
" Ecco i caffè..."
La voce del cameriere mi spaventò. Non l'avevo visto arrivare, perchè avevo gli occhi innondati di lacrime, trucco che colava ovunque e mani bagnate, che continuavo a sfregare sugli occhi e sotto il naso. Cazzo, pensavo, non mi sono manco portata i fazzolettini di carta.. Ma il mio era un modo per sottrarmi relativamente alla cascata di parole che stavano bombardando la mia mente.
Sentivo il dolore di mio padre, e lo stavo facendo mio. Mi faceva male anche il cuore.
" A questo punto Manuela, devi riflettere e prendere una decisione. Noi non possiamo impedirti di fare ciò che senti. Legislativamente parlando. Potessimo, ti porteremmo via, lontano da quella famiglia, ma otterremmo solo il risultato opposto. La tua ribellione sarebbe naturale e automatica.
E allora ti dico questo.. Se hai deciso di seguire quelle persone, di fare quella vita e di continuare a farti umiliare, vai a casa, prendi tutte le tue cose e vai. Vai oggi stesso. Ma dal momento in cui uscirai dalla porta della tua casa, dimenticati di avere dei genitori . Dimenticati di avere una famiglia gagè , come tante volte l'hai chiamata nel tuo diario. Perchè noi non abbiamo messo al mondo una figlia, per saperla violentata ogni giorno, psicologicamente e fisicamente.."
E così dicendo mi strinse una mano fra le sue..

martedì 6 settembre 2011

Mio padre, il mio Dio.

Intanto le settimane scivolavano via, insieme all'inverno. Le fredde giornate di inizio marzo, si alternavano con giornate soleggiate e con squarci di primavera. Iniziava a diffondersi nell'aria, il profumo dell'imminente fioritura.
Non ero più andata a Piacenza. le scuse erano molteplici e varie, ma poco credibili evidentemente, tanto da ottenere reazioni ancora più "rumorose" da parte di Juri, che sentiva scivolare via il proprio dominio e venir meno, il potere che esercitava su di me.
La tensione che si era creata nella mia famiglia, il gelo che percepivo e l'indifferenza che dimostravano i miei genitori, nei miei confronti, aveva provocato una ferita molto profonda dentro il mio cuore. Ed è così che una mattina, decisi di affrontare mio padre.
Quella mattina la ricorderò per sempre, nitida, come se non fossero mai trascorsi gli anni. Ricorderò per sempre il viso di mio padre, mentre mi parlava, un misto fra rabbia, impotenza e dolore e non scorderò mai, neppure il tremore delle sue mani e delle sue labbra..
Così, dicevo, quella mattina, mi recai presso la località dove mio padre svolgeva il suo servizio lavorativo. Lo cercai con lo sguardo fra la folla, e subito lo vidi. Tralascio volutamente la professione di mio padre, ma non il suo aspetto fisico, imponente, che emergeva fra i comuni mortali. Così l'ho sempre definito. Un Dio, il mio Dio. Diverso da tutti gli altri uomini, per bellezza, gentilezza, disponibilità.
Ero rimasta bambina sotto questo aspetto. Mio padre continuava a essere il "mio uomo preferito", e ancora oggi lo è.
I suoi occhi azzurri, incrociarono i miei e per un attimo mi sembrò quasi che mi sorridesse, ma fu solo un attimo.
Raccolsi tutto il coraggio che potevo e gli dissi : " Papà devo parlarti " .
" Si, lo so, andiamo a sederci in un bar. Anch'io ho delle cose da dirti".
In silenzio, ci incamminammo verso il locale più vicino e una volta entrati, dopo aver ordinato due caffè, cercammo il tavolino più appartato che c'era.
Rimasi li, zitta, alla ricerca disperata delle parole. Un pò come quando a scuola, si deve iniziare un tema, e non vengono le frasi giuste e a effetto, per catturare l'attenzione del professore che dovrà dare la valutazione.
Ma fu lui a rompere il silenzio pesante che si era creato.
E fra tutte le cose che non potrò mai dimenticare, non dimenticherò mai neppure le parole che stava per pronunciare.

lunedì 1 agosto 2011

Il diario.


Il diario.. Il mio grasso e ricco diario, che conteneva ritagli di giornali, fotografie e soprattutto squarci di vita disperata.
Non potevano averlo letto, non l'avevano mai fatto prima. Mia madre aveva sempre decretato che non avrebbe mai letto i diari delle sue figlie, come dimostrazione della fiducia che dava loro. Almeno fino a quando questa fiducia non sarebbe venuta a mancare.
Troppe bugie avevo raccontato, troppe scuse a cui, solo un genitore che vuole continuare a nutrire questo sentimento di fiducia, può credere.
Presa dall'angoscia del sospetto che potessero aver appreso le cose terribili che conteneva quello "scrigno", feci una prova.
Una mattina, prima di recarmi al lavoro, misi sulla copertina rigida del mio "scrigno" un pezzettino semi-invisibile di carta. Se durante la mia assenza, qualcuno l'avesse aperto, il frammento di carta sarebbe scivolato via, e io non l'avrei più trovato. Avrei invece trovato conferma al mio sospetto.
Un paio di giorni dopo, quel pezzetto di carta, non c'era più..

La verità, una lama che penetra fino al cuore.

I problemi delle telefonate notturne erano appena iniziati. Quella fù solo la prima di una serie di squilli isterici che svegliavano tutta la famiglia nel cuore della notte.
Parole minacciose e biascicate, rese poco fluide dagli effetti dell'alcool, miste a pianti di sfogo, poi di nuovo, una sfilza di cattiverie ed accuse gratuite.
Non c'era orario. Potevano essere le due di notte, piuttosto che le quattro del mattino.
Non riuscivo più a controllare la situazione.
Qualche volta ho provato a staccare la cornetta, furtivamente, prima di andare a letto, ma non potevo farlo sempre.
Avevo nonni anziani, e se mai fosse accaduto qualcosa, non avrebbero avuto l'opportunità di chiedere aiuto.
Forse, furono proprio questi ultimi accadimenti che diedero la conferma ai miei genitori, di un sospetto latente e rifiutato fino a quel momento.
Il loro atteggiamento, nei miei confronti, divento improvvisamente distaccato e freddo.
La loro affettuosità diminuì, fino a sparire completamente. Non mi parlavano se non lo stretto necessario. Sparirono i sorrisi, le parole scherzose, gli abbracci a cui son sempre stata abituata.
Dal mio canto, facevo molta fatica anch'io a combattere questa freddezza. Sapevo di averli presi in giro da anni, e questo fatto mi provocava una morsa allo stomaco che non ne voleva sapere di attenuarsi. E questo agiva come freno.
Era chiaro che loro a quel punto, sapessero, ma non riuscivo a capire come e soprattutto cosa potessero sapere, e da chi poi.
Sospettai che Maddalena avesse spifferato tutto, ma la accusai ingiustamente. La fonte dalla quale avevano attinto, era un'altra..

Giustificazioni.

La mattina successiva, seduta accanto al tavolo, svogliata e con lo sguardo fisso allo schermo della tv, apparentemente concentrata sul TG , sorseggiavo il mio tazzone di caffè latte, come se nulla fosse accaduto, nonostante le borse gonfie di una notte insonne, segnassero i miei occhi.
Ero in attesa della richiesta di spiegazione da parte di mia madre, sul motivo della telefonata notturna, che ovviamente non tardò ad arrivare. Avevo passato la notte a pensare ad una giustificazione, una scusa da fornire nel modo più disinvolto possibile.
" Ma.. cosa voleva Juri?"
" Oh niente. Aveva mal di denti poverino, e mi ha chiesto cosa potesse prendere per attenuare il dolore "
" E ti chiama alle 2 del mattino..?"
Scazzata, come coloro che subiscono una ingiusta inquisizione, balzai dalla sedia.
" Ma se aveva male a quell'ora, cosa doveva fare? Stare con il dolore tutta la notte, per la paranoia di disturbare? Solo noi abbiamo questi stupidi preconcetti sugli orari da rispettare. E poi manco ci avrà pensato. Quella è l'ora in cui smettono di lavorare e per lui è del tutto normale pensare che le persone siano ancora sveglie, visto che solo a quell'ora le piazze si svuotano delle persone che si divertono alle feste patronali "
" Certo.." bofonchiò mia madre, uscendo dalla cucina " ..E' del tuttonormale.. a metà settimana ".
Non ero stata sufficientemente credibile.
Maddalena, seduta davanti a me, scosse la testa, ed approfittando dell'assenza di mia madre, sussurrò " Devi trovare una soluzione, ti metterà nei casini.."

sabato 30 luglio 2011

Non è il trillo del telefono, ma un campanello d'allarme.

Iniziò una nuova settimana. Ma quella sensazione di paura, non mi aveva abbandonata, una volta lasciata Piacenza. Me l'ero portata con me.
Nel cuore della notte a cavallo di due giorni a circa metà settimana, il trillo del telefono squarciò il silenzio di casa mia. Balzai dal letto, senza rendermi conto, in quella frazione di secondo, se potesse trattarsi della sveglia, o del telefono.
Questa seconda ipotesi, mi sembrava impossibile. Nella mia famiglia, non si usava telefonare dopo le 22.00, se non per qualche accadimento tragico.
E fu proprio quello il pensiero.
Risposi con un " pronto" quasi afono, perchè l'agitazione non permetteva alla mia voce di uscire liberamente.
Dall'altro capo del filo, la voce roca e impastata di Juri.
Fui presa dal panico. Mia mamma, spaventata e travolta dagli stessi miei pensieri, era in piedi, sulla porta della sua camera da letto, con lo sguardo fisso sul mio, in attesa di avere notizie su chi vi fosse al telefono, aspettando probabilmente la cattiva notizia che credeve stessi per darle.
Cercai di essere disinvolta, ma non credo sia il termine giusto. Sorrisi a mia mamma, con il sorriso più cretino che abbia mai fatto, dicendole semplicemente " No mamma, non è niente , è Juri.." . Come fosse la cosa più normale di questo mondo, che Juri mi telefonasse ( Non l'aveva mai fatto) e soprattutto che lo facesse alle 2 di mattina.
Mia madre stette ancora qualche secondo nella stessa posizione, poi tornò a letto. Tirai un sospiro di sollievo. Non avrei retto il suo sguardo ancora per molto.
" Cosa c'è Juri, cosa è successo?" bisbigliai. Lui iniziò a ridere, e contemporaneamente a ringhiare come un cane feroce. " So che ti vedi con qualcuno, ma io ti ammazzo.. Ammazzo te e tutta la tua famiglia. O mi fai uscire di qui, o vieni tu e rimani in gabbia con me, fino a quando ho scontato la pena. Se non lo fai, ti ammazzo. Giuro. Hai capito ? Sono stato chiaro? Ti voglio qui puttana. Credi sia scemo? Domani prendi le tue quattro cose e mi raggiungi, sennò ti vengo a prendere io. Non farmi arrivare li, non ti conviene.."

Il sapore della paura.

Juri fece capolino nel salotto, svegliato dal profumo del caffè. Si buttò svogliato sul divanetto e senza neppure rivolgerci un saluto, commentò un qualcosa sul programma che stava seguendo Nino. Ingurgitò una tazzina di caffè, poi alzandosi, venne verso di me. Mi prese per un braccio e mi portò nella camera attigua, per il solito "protocollo".

Ma c'era qualcosa che lo turbava quel giorno. Non era solo l'alcool a renderlo irrequietò. Iniziò ad accusarmi di avere una vita normale, mentre lui era costretto fra le mura di quell'appartamento. Si incattiviva perchè avevo l'opportunità di vedere altre persone, con la palese insinuazione che potessi frequentare altri uomini. Iniziava a non sopportare più la detenzione.

Lui, nomade.. Lui anima libera e randagia, aveva raggiunto il limite della sopportazione.

Cercai di tranquillizzarlo, raccontandogli di una vita semplice, divisa fra lavoro e casa. Rassicurandolo che nessun uomo avrebbe mai potuto conquistare il mio interesse, anche solo superficiale. Ma i suoi occhi avevano una luce bestiale. Io credo che, se avesse perso quel poco senno che gli era rimasto, avrebbe anche potuto uccidermi. Era.. rancoroso.

Non vedevo l'ora di andarmene via.

Così, mentre mi davo a lui, cercai di concentrarmi sui rumori di casa. I cani, la televisione, una lavatrice impegnata nella sua folle centrifuga, le voci degli amici, rese quasi impercettibili dagli altri rumori.

Sentire la casa viva e vissuta, mi aiutava a stare più tranquilla, perchè quel giorno, ho provato cosa significa aver paura.

sabato 19 marzo 2011

Trasferimento

Come era stato preannunciato, il 10 febbraio Juri fù trasferito a Piacenza, così, la domenica successiva organizzai con Lucia una visita presso il nuovo domicilio.
Trovare il caseggiato in mezzo a quell'alveare di case popolari di 10 piani ciascuna, fù un'impresa. C'erano civici, interni di civici e interni degli interni dei civici. Ci mettemmo di più a rinvenire la palazzina che a percorrere il tragitto che da Torino arriva a Piacenza.
Finalmente, nel primo pomeriggio arrivammo a destinazione, Inequivocabilmente, nello spiazzo frontestante lo stabile c'era parcheggiato un grosso autocarro con la scritta " Famiglia Darbadi, giostre".
L'appartamento si trovava all'ottavo piano di uno stabile palesemente popolare, di costruzione abbastanza recente, ma tenuto piuttosto male.
Fummo accolte in maniera molto famigliare dai cugini di Juri, una coppia di coniugi sulla trentina, senza figli ma con un paio di yorkshire che appena ci videro iniziarono ad abbaiare come dei forsennati.
La casa era molto decorosa, ma piuttosto spoglia. Ci fecero accomodare in un salottino dove il volume della televisione faceva da padrone, e mentre lui, Nino, ci intratteneva facendoci domande sui rapporti che avevamo con il resto della famiglia, lei, Francesca arrivò con un vassoio sul quale aveva riposto dei biscotti e le tazzine di caffè.

venerdì 18 marzo 2011

Vado avanti

Non ho l'umore giusto per scrivere stasera, ma non ho nemmeno sonno, quindi vado avanti, perchè questo racconto di vita vissuta abbia la sua fine.
Tornai a Neirone l'ultima settimana di gennaio, questa volta da sola, senza Lucia. Ero stata avvisata dai fratelli, che Juri avrebbe cambiato luogo di custodia detentiva.
Nonno Giacomo non riusciva a tenergli testa. Juri arrivava a sera marcio di alcol, e si sà, l'ubriachezza lo rendeva strafottente e violento all'occorrenza. Così su espressa richiesta dei parenti, il giudice aveva autorizzato il suo trasferimento a Piacenza, presso alcuni cugini che pur essendo giostrai, avevano una dimora fissa in quella città.
Il trasferimento era stato organizzato per il 10 di febbraio.
Così quella domenica di fine gennaio, fredda e uggiosa, partii da sola con la mia golf. Mi ero studiata il percorso sulla cartina, e facendo affidamento sul mio elevato senso dell'orientamento, giunsi a Neirone intorno all'ora di pranzo.
Juri sapeva che sarei arrivata, perchè avevo avvisato di questo Letizia, pregandola di non riferire nulla alla mia amica di campagna. Letizia aveva mantenuto il segreto.. Lucia non le piaceva per nulla, e non aveva tutti i torti.
Stranamente i miei genitori non fecero domande quando avvisai che avrei passato la domenica ad Asti, dagli amici del capodanno, e iniziavo a chiedermi il perchè di questa assoluta assenza di interesse su quelli che fossero i miei movimenti.
Ricordo che non ebbi tempo di entrare nella cascina, che Juri, ignorando le proteste di nonno Giacomo, che per l'occorrenza aveva preparato un pentolone di polenta, mi trascinò letteralmente al piano superiore.
Il suo saluto fù "Oggi ti ingravido, così vediamo se ti decidi una buona volta a lasciare tutto per stare con me. "
Fù l'ennesima giornata di mortificazione e violenza. Fra una lattina di birra scolata, e qualche sigaretta fumata, consumammo due o tre volte, velocemente, alternando gli amplessi a momenti di sonno ( i suoi ) dovuti non tanto alle performance ma all'alcol che ingeriva.
Ed io stavo li... Ad occhi aperti a guardare le pareti di quella stanza, chiedendomi perchè fossi tornata e maledicendomi perchè sapevo che non sarebbe stata l'ultima volta, ma ce ne sarebbero state altre ed altre ancora.
Quell'uomo era la mia calamita. Stavo male con lui, ma senza stavo anche peggio. Era come se avessi bisogno di provare dolore per punirmi di qualcosa, e dopo averne fatto il pieno, potessi tornare alla mia vita normale fatta di impegni quotidiani normali, fino all'esaurimento delle scorte, quando, andando in rosso, sentivo la necessità di farmi di nuovo male.
Ripartii prima che facesse buio, intorno alle 16 credo. Volevo scendere da Neirone con la luce del giorno, poi l'autostrada l'avrei affrontata anche con il buio serale, non era un problema.
Strinsi forte nonno Giacomo, sapevo che sarebbe stata l'ultima che l'avrei visto. Mi angoscia ancora oggi il pensiero di stringere una persona pensando che probabilmente non la rivedrò più..
Baciai Juri e lui approfittò per bisbigliarmi all'orecchio: " La prossima volta porta le tue cose, perchè non ti mando più a casa".
Annuii e salii nella mia macchina muovendomi in direzione del centro paese.
Per la prima volta non mi venne l'istinto di guardare alle mie spalle ciò che lasciavo. Partii e basta, come se dietro di me ci fosse il nulla..

La vita continua..

I giorni che seguirono furono piatti e privi di senso. Avevo ancora qualche giorno di vacanza da godere, ma mi mancava la voglia di fare tutto. Per cui dormii molto, lessi e mi concessi qualche uscita pomeridiana a caccia di saldi.
La sera dovevo fare appello a tutte le scuse che conoscevo per evitare gli inviti delle amiche, che desideravano sfruttare a pieno gli ultimi giorni di vacanza, prima della ripresa del lavoro. Fù proprio l'ultimo giorno prima del rientro che accettai di uscire con la mia amica di sempre Patrizia, compagna di scuola già alle elementari.
Passammo la serata in birreria. Le raccontai il mio capodanno e lei mi ascoltò attenta. Il suo viso era il viso di una persona che vorrebbe ribattere su tutto, ma dalle sue labbra non usciva alcun commento negativo. Mi ascoltava e basta. Mi riportò a casa dopo la mezzanotte e mentre scendevo dalla sua Diane 6 mi bloccò afferrandomi un braccio.
Mi mise fra le mani una lettera, e mi disse.." qui c'è tutto ciò che penso e che non ho il coraggio di dirti a voce..".
Scesi dall'auto e mi infilai nel portone salendo le scale frettolosamente. Ero curiosa, ed anche un pò intimorita. Sapevo come la pensava Patrizia. Lei aveva ( ed ha tutt'ora) un carattere forte, fortificatosi grazie a eventi negativi e disgrazie avvenute nell'ambito della sua famiglia. Sono sempre stata un pò succube di questa mia amica, che comunque a quell'epoca è stata forse l'unica amica che mi abbia davvero voluto bene.
Su un foglio protocollo aveva riversato tutti i suoi pensieri..in una scrittura fitta fitta a tratti anche incomprensibile. Aveva illustrato tutto il suo disappunto verso Juri e la famiglia a cui apparteneva ma soprattutto verso me, per il dolore che avrei avrei provocato ai miei genitori, per quello che davo alle amiche come lei, e soprattutto per quello che accettavo mi venisse fatto.
Data la durezza delle sue parole, l'istinto, a fine lettura fù quello di stracciarla e buttarla nella spazzatura.
Oggi la lettera è parte integrante del mio diario.

venerdì 11 marzo 2011

Leggendo dentro..

Il rumore dell'ascensore in fermata sul pianerottolo mi riportò alla realtà dei fatti. Sentii girare la chiave nella serratura e corsi incontro ai miei genitori. Ci abbracciammo come se non ci vedessimo da mesi. "Mamma mi sei mancata " dissi senza staccare la testa dall'incavo della spalla di mia madre. Anche mia mamma profumava. Lo stesso identico profumo che sentivo da bambina. Sempre lo stesso. Il suo buonissimo profumo di pelle che sento ancora oggi. Quando ero piccola, pensavo che mia mamma fosse insporcabile ( si dice?) . Qualunque cosa facesse, le sue mani erano sempre candide. E per di più non sudava mai.
Dopo qualche secondo mi allontanò, e mi sorrise guardandomi negli occhi.. " Ti sei divertita Nini a casa di Nadia..?" mi domando. " Si tanto mamma. Abbiamo dormito nei sacchi a pelo sparsi sul pavimento perchè non c'era posto per tutti.." risposi..
Ora che anche io sono mamma, posso comprendere ciò che non compresi quella sera.
Pensavo di averla fatta franca, pensavo che mia madre avesse incassato le mie bugie, pensavo di essere stata convincente con le mie parole e i miei occhi che volevano evitare di essere sfuggenti.
Invece le mamme leggono dentro..
Le mamme sanno tutto ed a volte tacciono..

Profumo di casa

Entrata in casa, fui immediatamente assalita dal profumo delle lasagne al forno e da ...Maddy, che ovviamente sapeva tutta la verità.
Maddy..la mia piccola sorellina, la mia grande complice. Maddy, che ancora oggi a distanza di anni, è la mia amica migliore e una delle tre donne più importanti della mia vita. Maddy, con la quale non ricordo di aver mai litigato.
I miei genitori fortunatamente non c'erano, così ebbi tempo di infilarmi immediatamente sotto la doccia e togliere quell'odore strano di canfora mista a legno bruciato che mi sentivo addosso.
Mentre mi lavavo Maddy si sedette sul coperchio della tazza del cesso, e iniziò a bombardarmi di domande, non riuscendo neppure ad aspettare la risposta di quella precedente che già era passata alla successiva.
Mi asciugai i lunghi capelli e mi infilai un pigiama pulito, profumato di Coccolino.
Quindi iniziai ad apparecchiare il tavolo, visto che ormai era quasi ora di cena.
L'impressione che avevo mentre appoggiavo piatti e bicchieri sul tavolo di fòrmica verde, era di essere sempre rimasta li a casa, di non essermi mai mossa. Allora, forse, era stato tutto un sogno, forse era ancora il 30 dicembre e dovevo ancora vivere tutto.. E forse la realtà sarebbe stata diversa, magari meno deludente.
A volte mi piace avere questi pensieri strani. Ho tanta immaginazione e mi piace giocare con le mie sensazioni. E non parlo solo di allora..continuo imperterrita anche oggi...

mercoledì 9 marzo 2011

Finalmente a casa



Arrivammo alla Foce più o meno verso le 14.00. Il tempo di salutare la numerosa famiglia, quindi io e Lucia ci mettemmo in cammino, sulla strada del ritorno.

Ricordo che non parlammo fino al casello di ingresso in autostrada. Entrambe eravamo immerse nei pensieri.

Una volta imboccata l'autostrada, le chiesi il motivo del suo silenzio.

C'è da dire una cosa che non ricordo sia già stata detta. Lucia era innamorata persa di Rubens, ma quest'ultimo non lo era assolutamente di Lucia. Ci giocava, ci scherzava, ma fra loro non c'era stato mai neppure un bacio. Così venne fuori che lei da questo breve soggiorno, aveva avuto grandi aspettative. Tutte rovinosamente crollate, visto che Rubens si era guardato bene di fermarsi a Neirone e dividere il letto con lei a capodanno, anzi, non era neppure presente al momento dei saluti, perchè sembra non fosse ancora rientrato dalla serata che, dopo la cena da nonno Giacomo, aveva continuato in qualche discoteca con amici. Probabilmente era invece finito nel letto di qualche gnoccolona genovese.

Lucia quando era triste e delusa, non piangeva. Non piangeva mai a dire il vero, ma le veniva una rabbia atroce. Così per tutto il tragitto sfogò la sua rabbia lanciando maledizioni e sciagure varie verso il povero e ignaro Rubens e verso tutto il resto della famiglia.

Finalmente verso le 17.00 fummo a Torino. Mi lasciò davanti a casa dandomi un freddo saluto e ripartì in direzione del paese.

Prima di salire a casa stetti sul marciapiede a guardare il balcone della mia camera, godendo del solo pensiero che li dietro c'era la mia stanza calda ed il mio letto pulito. Riuscivo da li sotto a sentirne il tepore.

Che strana la vita. Avevo provato gioia infinita, poche ore prima, al pensiero di raggiungere Juri a Neirone, ed ora provavo con la stessa intensità, gioia infinita per essere tornata a casa.

Pensai che è proprio vero che non si è mai contenti di nulla.

martedì 8 marzo 2011

Disgelo..

Ero ancora seduta sul divano, a metà strada fra la coscenza e l'incoscenza, a guardare i lenti movimenti di nonno Giacomo, intento a pelare delle patate, quando Lucia fece capolino nella grande cucina.
Si diresse verso la stufa e si rannicchio vicino ad essa, come se volesse abbracciarla. Mi venne da ridere a vederla raggomitolata a cercare di assorbire calore, come un serpente. In fondo era una vipera. Il paragone mi faceva davvero sorridere.
Stette qualche minuto in quella posizione, poi venne a sedersi vicino a me, cercando di accaparrarsi un lembo del mio plaid che tenevo invece saldamente per evitare che anche solo una parte del mio corpo si scoprisse.
"Racconta...Com'è andata..? " chiese con un mezzo sorriso. Non feci in tempo a rispondere che sentimmo il rombo di un motore e rumore di pneumatici , accarezzare i ciotoli dello sterrato antistante la cascina. Il motore si spense e una portiera fù fragorosamente sbattuta. Pochi passi sul selciato e sull'uscio di casa comparve Marco.
Era giunta l'ora di andare via.
Feci mente locale se avessi dimenticato qualcosa, e con la scusa di verificare presso la camera da letto, corsi al piano superiore.
Juri dormiva profondamente, anzi russava proprio. Stetti qualche secondo a guardarlo, poi appoggiai la mano sulla sua fronte e gli diedi un lieve bacio sulle labbra che non sortì il minimo effetto.
Tornata di sotto, baciai nonno Giacomo, mandandolo vergognosamente in crisi. Vabbè baciarsi a capodanno, ma poi basta ..sembrava dicesse il suo timido ma compiaciuto sguardo sdentato.
Quindi salimmo in auto destinazione Foce di Genova.

lunedì 7 marzo 2011

La luna si nasconde..

Quella notte non riuscii a dormire nemmeno un minuto. Il freddo era insopportabile, e nonostante fossi vestita, il lenzuolo ed il copriletto leggero in cotone non erano sufficienti a proteggermi da quel gelo.
Vegliavo e pensavo, fino a che il cinguettio degli uccellini mi avvisò che stava albeggiando.
Non vedevo l'ora che finisse quella notte.
Non so quanto tempo trascorse ancora, ma quando ormai si intravedeva il chiarore del mattino, fui raggiunta da un invitante profumo di caffè.
Mi alzai, facendo piano per non svegliare Juri, mi infilai i pantaloni e scesi al piano di sotto.
Giacomino aveva acceso la stufa e la stanza era tiepida, ma bastava già per trovare sollievo.
Mi porse un tazzone di caffè bollente che tenni in mano fino a quando non si raffreddò. Quella tazza scaldò le mie mani, ed il calore si irradiò lungo il corpo.
Ma quanto ne avevo bisogno. E chissà se Lucia aveva dormito?
Erano solo le 8 del mattino, e probabilmente Giacomo capì che che avevo passato la notte in bianco, solo che secondo me, immaginava che la veglia fosse dovuta a qualcos'altro..
In ogni modo, mi invitò a sdraiarmi sul divano e mi porse un plaid di lana. " Riposa ancora un pò" disse " Io vado a prendere un pò di legna per la stufa".
Infilò un vecchio giaccone di lana a scacchi ed uscì. Io mi coricai, attorcigliando il plaid al mio corpo, e mi addormentai in meno di un secondo.
Quando aprii gli occhi era mezzogiorno.

martedì 1 marzo 2011

Voglio te..

La casa si svuotò del suo chiasso e della sua allegria.
Nonno Giacomo, ( così lo chiamavano tutti ), aprì un mobiletto tirando fuori un paio di asciugamani, e porgendoceli, invitò Lucia e me a seguirlo al piano superiore. Lento come una tartaruga stanca, iniziò a salire le scale. Imboccammo un corridoio gelido, e ci fermammo davanti alla porta di una stanza.
" Questa è la vostra camera " disse, "ed il bagno è quella porta al fondo del corridoio. Se avete bisogno di qualcosa, chiamatemi, io dormo sotto ".
Non avevamo portato nulla con noi, non avevamo pigiami nè detergenti per la pulizia personale. Che stupida ero stata.. Eppure immaginavo e speravo di poter passare la notte con lui, e non mi ero organizzata.
La stanza era un frigo, e Lucia, superato il primo momento di disorientamento, disse che non si sarebbe tolta nemmeno le calze, ma avrebbe dormito completamente vestita com'era.
Le lenzuola erano felpate e profumavano di pulito. Beh, perlomeno erano state cambiate in previsione del nostro breve soggiorno.
La porta della stanza si aprì improvvisamente, e la figura di Juri ci si presentò di fronte. "Vieni" disse e girandosi si diresse verso il fondo del corridoio.
Come un'automa presi la mia borsa ed andai.
Entrammo nell'ultima stanza, che capiì essere la sua, in quanto disordinatissima.
C'erano pantaloni e maglioni buttati sulle sedie, e scarpe sul pavimento in ordine sparso. La temperatura era identica a quella del resto della casa. Mi sembrava di essere al Polo.
Si sedette sul letto matrimoniale, che al contrario di quello dove avrebbe dormito Lucia, era un campo di battaglia, e iniziò a spogliarsi.
Io invece rimasi per qualche minuto in piedi, ferma nella stessa posizione. Avevo freddo cacchio. Un freddo bestiale di quelli che una volta entrato nelle ossa si impossessa di tutto il corpo e non se ne và manco se abbracci una stufa.
" Beh? ..cosa aspetti..? Non vuoi festeggiare ? Lo conosci il detto no..?" Disse con un sogghigno animalesco..
Si lo conoscevo il detto..
Iniziai a togliermi i Jeans e le scarpe, ma non riuscii a togliere il resto. Ero semi-paralizzata, ma a pensarci bene non sò se fosse il freddo o la paura. L'alito vinoso di Juri aleggiava in tutta la stanza e lo sentivo anche a metri di distanza.
Spensi la luce e mi infilai sotto le lenzuola, vestita a metà.
Facemmo l'amore molto velocemente, più o meno come il solito, dopodichè Juri si addormento come un sasso, quasi all'improvviso come fanno i cuccioli quando sono stanchi.
La luce della luna si infilava attraverso le fessure delle gelosie ed illuminava il suo viso.
Era bello davvero, e dormiente lo era ancora di più, perchè i suoi lineamenti si addolcivano e i capelli scompigliati lo facevano assomigliare ad un attore di cui non ricordo il nome, ma che interpretava sempre parti da "buono".
Chissà.. Quella notte volli credere che fosse buono come quell'attore e volli illudermi che l'avrei cambiato, che con me a fianco, una volta sistemato tutto, sarebbe diventato un uomo retto.
La luna oltre a disegnare strani e sorprendenti effetti di luce, crea anche molte illusioni..

venerdì 11 febbraio 2011

L'ospitalità di Giacomo

Il padrone di casa era l'anziano padre di Letizia, Giacomo. Un vecchietto dall'aria pacifica e bonaria. Piccolo di statura e grassottello come la figlia, sfoggiava un sorriso sdentato ma accogliente.
Era seduto su una vecchia sedia, davanti ad una grande stufa a legna, all'interno della quale stava cercando di infilare grossi pezzi di legno secco.
Si alzò e iniziò a salutare i parenti, stringendo mani ed elargendo baci alle donne ed ai bambini. Letizia mi presento.."Papà.. chila alè la fia d'Juri" .. ( ..lei è la ragazza di Juri..).
Credo che quell'uomo provò un'immediata simpatia nei miei confronti, e lo capii da come mi abbracciò. D'altra parte era reciproco; a pelle mi piaceva tanto. Era la versione striminzita di Babbo Natale.
L'ambiente che ci ospitava era un'enorme stanza con al centro un altrettanto enorme tavolo di legno scuro massiccio, al fondo della quale c'era il così detto "angolo cottura" composto da un lavandino in marmo, un decrepito frigo bombato, ed un gas a 4 fuochi che penso non incontrasse una spugna e un detergente da anni.
Sormontavano lavandino e cucina alcuni stipetti all'interno dei quali erano riposte le stoviglie.
Dall'altro lato della stanza c'era un divano di stoffa semisfondato, e su un piano con le rotelle c'era un piccolo ed antichissimo televisore.
In un battito d'ali, gli uomini della famiglia montarono nel mezzo della stanza, due cavalletti al di sopra dei quali misero delle assi di legno, per allungare il tavolo. E in brevissimo tempo, quel grandissimo tavolo improvvisato, fù coperto da tovaglie colorate e riempite di ogni tipo di cibaria e di bevanda.
La stanza era abbastanza calda. Nel resto della casa invece sembrava di essere dentro ad un frizzer.
La serata andò bene, mangiammo, e finimmo la cena proprio qualche minuto prima della mezzanotte..
A tavola ero seduta distante da Juri, che giustamente aveva preso posto vicino ai genitori ed ai fratelli. Ogni tanto i nostri sguardi si incrociavano, ed ogni volta che succedeva, sentivo un brivido correre lungo tutta la colonna vertebrale.
Il conto alla rovescia, ci trovò tutti quanti in piedi, e mi permise di avvicinarmi impercettibilmente a lui, senza essere notata.. Volevo essere la prima a baciarlo.
Lo scoccare della mezzanotte fù accompagnato dai botti dei tappi delle bottiglie di spumante che saltavano da ogni parte. Lo baciai per prima.. Almeno un desiderio l'avevo esaudito. Fù un bacio dato distrattamente sulle labbra. Avrei voluto piangere, ma l'orgoglio e la vergogna me lo impedirono. Il volume della televisione venne alzato al massimo da qualcuno, e le note musicali del programma in onda, riempirono la stanza di allegria.
I bambini ballavano e poco dopo anche qualche adulto si scatenò nelle danze. Il vino nero che aveva accompagnato la nostra cena, unito ai fiumi di vino bianco che bevevamo come buon auspicio per il nuovo anno, fecero il loro effetto.
Alcune coppie si lanciarono in sensuali balli corpo a corpo, e i giochi di mano diventavano sempre più audaci.
Quando la pendola suonò le tre, il padre decise che era arrivata l'ora di andare. Bastò il tono della voce deciso e come in una magia, tutti iniziarono a rivestirsi.
In verità, nessuno mi aveva chiesto dove avrei passato la notte. E me ne accorsi solo in quel momento, quando, vedendo prepararsi tutti i componenti della famiglia, mi chiedevo cosa dovessi fare, o meglio, cosa si aspettavano che facessi.
Ma a nessuno sembrava interessare.
Credo che Juri percepì questo mio disagio, perchè avvicinandosi a me, mi disse " Tu e Lucia state qui.. Tu dormi con me...Loro lo sanno"

giovedì 10 febbraio 2011

La fantasia salvezza della delusione


Ci sono situazioni in cui non ci sentiamo protagonisti, bensì spettatori della nostra stessa vita. Tutto ciò che accade lo viviamo in modo distaccato, quasi come non stesse accadendo a noi stessi. E' una forma di autodifesa che il nostro organismo mette in atto nei momenti in cui , o per il troppo dolore, o per la troppa gioia, tutto il nostro sistema potrebbe andare in tilt.
Ecco... Ricordo alcune cose, in maniera non troppo nitida, come se avessi osservato dall'alto quella figura di donna, nella quale riconoscevo comunque me stessa, correre verso quell'uomo fermo sulla soglia di casa, buttandosi fra le sue braccia spalancate ad accoglierla. O forse la donna non correva..Forse no.. Forse semplicemente si è avvicinata timidamente a quell'uomo, aspettando che fosse lui a buttarle le braccia al collo. E forse lui non l'ha neppure fatto. Ma si è limitato a sorriderle ed a toglierle dalle mani due enormi e pesanti pentole di coccio, girando su se stesso, ed entrando in casa, senza neppure dire una parola, senza neppure invitarla ad entrare, dando per scontato tutto quanto.
Beh, sta di fatto che ho rimosso quel momento. Forse l'avevo talmente immaginato e vissuto nella fantasia, che poi la realtà, molto diversa, ha fatto si che la fantasia predominasse su essa. Quindi il ricordo c'è, ma probabilmente non corrisponde a ciò che è realmente accaduto.

Freddo dentro e freddo fuori

Uscimmo da Genova ed imboccammo una strada Statale, mentre il mare si allontanava e le montagne sembravano essere sempre più vicine, tanto da poter essere sfiorate. Sentivo assottigliarsi anche il profumo della salsedine, e l'immaginazione mi faceva assaporare già il profumo della pelle di Juri.
Dopo circa un'ora di tragitto, arrivammo alle porte di un piccolo e desolato paese. Era Neirone. Lo attraversammo e una volta usciti dal centro abitato, imboccammo una stradina sterrata. Sembrava di essere nel Far West. Non c'era un'anima viva per le strade, e dalle finestre delle poche abitazioni uscivano luci fioche.
Finalmente la macchina dei genitori, che dominava la carovana di auto, si fermò. Un cascinale maltenuto, composto da un enorme fienile all'interno del quale si intravedeva una macchina agricola e una vecchia FIAT 127, e da una parte adibita ad abitazione, segnalava la fine della strada.
Uscii dal caldo abitacolo dell'auto, e fui avvolta dal gelo montano.
In quel momento avvertii una forte sensazione di disagio. Ma dov'ero? Cosa ci facevo li..? Per un attimo desiderai con tutta me stessa di tornare a casa, ma durò poco, giusto il tempo che precedette il momento in cui la porta del cascinale si aprì.
La luce dell'abitazione illuminò alle spalle la sagoma di Juri, che fermo sull'uscio sorrideva, guardando i movimenti che si svolgevano intorno ai veicoli parcheggiati alla rinfusa.
I suoi capelli erano di nuovo lunghi. Questa fù la prima cosa che notai.

mercoledì 26 gennaio 2011

Si và..

Mangiammo seduti a tavola tutti insieme, uomini e donne gli uni accanto agli altri, e per me era una piacevole novità. Ma c'era aria di festa e non solo perchè era l'ultimo giorno dell'anno. Consumammo il pranzo fuori dalla carovana, perchè il tempo lo permetteva. Il sole a quell'ora scaldava le ossa, ed era una sensazione impagabile pensare di essere in pieno inverno e di trovarsi sulla riva del mare, a guardare l'orizzonte, mangiando pollo arrosto intorno ad un tavolo di plastica, dimensione caserma.
A fine pranzo aiutai le donne a sistemare, poi Rubens caricò me e Lucia in auto e ci portò a visitare il centro di Genova, con i suoi vicoli stretti e caratteristici; qualcuno anche malfamato.
Il programma era il seguente: alle 20.00 saremmo tutti partiti destinazione Neirone, la località dove si trovava il mio amato Juri e dove avrebbe dovuto scontare la sua pena detentiva. Finalmente l'avrei riabbracciato. Ancora non riuscivo a crederci.
Il pomeriggio passò abbastanza velocemente, e verso le 17.00, quando ormai del sole rimaneva soltanto un tenue alone all'orizzonte, io e Lucia iniziammo a stressare Rubens affinchè ci riaccompagnasse alle carovane. Dovevamo prepararci. Io specialmente volevo essere bellissima. Volevo abbagliare il mio uomo, volevo tramutare un banale capodanno, in una situazione che lui avrebbe ricordato per sempre. Volevo fosse una notte speciale e soprattutto, volevo insegnargli a fare l'amore, quello vero, fatto di passione e di dolcezza.
Mi truccai con molta cura, senza esagerare ma in modo da mettere in risalto i miei occhi chiari, resi ancor più luminosi dal pensiero che di lì a poco avrei rivisto lui.
Non misi abiti sexy, non sono il tipo che indossa vestiti appariscenti, ma mi sentivo elegantisima con i miei jeans GA desiderati e ricevuti come regalo di Natale dai miei genitori, e la mia camicetta bordaux.
E finalmente arrivò il momento della partenza.
Ci radunammo sul piazzale antistante le carovane. I bambini chiassosi erano eccitatissimi, mentre le donne, cariche di borse frigo all'interno delle quali avevano riposto tutto quanto avevano cucinato per il cenone, discutevano animatamente sui posti da occupare sulle auto che ci avrebbero portati a destinazione.
Io e Lucia salimmo in auto con Pablo e Valentina. Sedute entrambe sul sedile posteriore, venimmo subito assalite dai bambini, che facevano a gara per chi poteva occupare il posto accanto a noi.
La carovana di automobili finalmente si mosse..Puntuali alle 20.00 destinazione Neirone.